Si mobilita, in questi giorni, la comunità femminista ed antisessista della città di Catania per fare sì che la morte di Valentina Milluzzo, la giovane donna morta anche a causa del rifiuto degli obiettori di coscienza dell’ospedale Cannizzaro, di operare un aborto terapeutico, non passi sotto silenzio, come invece vorrebbe la Ministra Lorenzin. Dopo una partecipata assemblea tenutasi per iniziativa de "Le Rebeldesse" al C.s.a. Officina Rebelde (Qui l’evento), giorno 27 Ottobre si è tenuto un presidio non autorizzato di protesta all’ospedale Santo Bambino di Catania al quale hanno partecipato una trentina di donne e qualche compagno solidale, appartenenti a molte sigle dell’associazionismo locale. Il presidio è stato determinato e resistente, ha spiegato alle volanti polizia che non intendeva spostarsi, autorizzazione o no, ed ha megafonato e volantinato agli abitanti del quartiere ed agli operatori medici riscuotendo una larga solidarietà peraltro in un quartiere popolare. Non sarà l’ultima iniziativa del genere perchè l’intenzione è quella di non lasciare cadere nel vuoto la morte di Valentina e di aderire alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne che l’appello "Non una di meno" ha lanciato per il 26 Novembre a Roma.
Qui le foto del presidio davanti all’Ospedale Santo Bambino
Qui il testo del volantino diffuso ieri
> DIFENDIAMO LA LEGGE 194 ED IL DIRITTO ALLA SALUTE ED ALL’AUTODETERMINAZIONE DELLE DONNE
> Il 16 Ottobre, dopo 17 giorni di ricovero, all’ospedale Cannizzaro di Catania, è deceduta Valentina Milluzzo in seguito al rifiuto dei medici obiettori di dare aiuto a una donna in gravi condizioni ed eventualmente praticarle un aborto terapeutico. Negli ospedali pubblici italiani sette medici su dieci sono obiettori di coscienza, in Sicilia l’88 per cento dei medici è obiettore. L’obiezione si estende con tassi significativi anche agli anestesisti ed al personale non medico e persino al di fuori degli ospedali ai farmicisti che si rifiutano di vendere la pillola del giorno dopo, come hanno dimostrato delle inchieste portate recentemente avanti da alcuni gruppi di donne a Catania. Noi pensiamo che questo sia inaccettabile, pensiamo che sul proprio corpo debbano decidere le donne e non i medici. L’art. 9 della legge 194 prevede specificamente che: “L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”. Ma questo articolo non è bastato a salvare la vita di Valentina, al Cannizzaro si è infatti creato un malsano connubio di obiezione e malasanità, e appunto per questo gli ispettori della Lorenzin (la stessa ministra che ha lanciato la campagna per il “Fertility Day”, offensiva per tutte le donne che non volessero o potessero procreare) si sono affrettati da subito a dichiarare che tutto era “regolare” in modo da insabbiare un caso così eclatante. Del resto, come può essere regolare una situazione nella quale su 65 medici ginecologi in servizio presso tutti gli ospedali di Catania solo 4 sono non obiettori? Catania è una città di più di 300.000 abitanti e i suoi ospedali servono un interland altrettanto popoloso, non ci vuole molto a capire, facendo un calcolo approssimativo, che i pochi medici non obiettori rimasti dovrebbero vegliare sulla salute di decine di migliaia di donne a testa. Sono condizioni nelle quali è materialmente impossibile assicurare il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza che dovrebbe essere garantito dalla legge 194. Tutto questo avviene in un clima, nazionale e locale, nel quale le violenze sulle donne sono in continuo aumento. Per questo riteniamo di dovere prendere collettivamente la parola e di dovere scendere nuovamente in piazza a difesa dei nostri diritti. Giovedì 27 ottobre alle ore 16:00 saremo in presidio di fronte all’Ospedale Santo Bambino di Catania, (nel quale lavorano 24 medici di cui solo 2 non obiettori) per iniziare un percorso di lotta contro ogni discriminazione e violenza che culminerà con la manifestazione nazionale a Roma, “Non una di meno” del 26 Novembre